Prefazione al romanzo

di Guido D'Agostino

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Da capogiro! Le pagine perdute trasportano il lettore in una sarabanda, una autentica scorreria, nei tempi e negli spazi. Vi si intrecciano il presente e il Medioevo, il passato prossimo con il remoto; la dolce campagna toscana con la Francia, l’Italia e la Germania. Soprattutto, si attraversano, con ritmo frenetico, situazioni e generi letterari, atti di coraggio, resistenze spasmodiche con gesti di ferocia: il tutto, nel vortice che si sviluppa attorno all’eterno desiderio dell’immortalità, o almeno di una vita che può durare un millennio, le cui «istruzioni per l’uso» sono contenute nel manoscritto Voynich (dal quale sono stati asportati proprio i fogli che danno la chiave per accedere alla fantastica, ma pericolosa, demoniaca possibilità di protrarre l’umana esistenza).
Non deve essere stato facile per l’Autore seguire il filo della sua «galoppante fantasia», tenere insieme mistero, esoterismo, démoni e santi, vita di qua e l’aldilà. Affetti umani, umanissimi, con ambizioni traditrici, contatti con il demoniaco e l’esperienza dei più sofisticati congegni della tecnologia informatica. Insomma, far convivere Viola con Calandra, nazisti e partigiani, antiquari rosi dalla passione ed avvocati e/o magistrati impegnati nel loro difficile compito, chiese e conventi con le corti rinascimentali. Una sorta di gioco, si potrebbe dire, ma che si svolge continuamente sull’orlo dell’abisso, sorretto da una scrittura che definire incisiva e persino convincente è poco; sicuramente, non rende appieno la bravura dell’Autore, audace e spericolato nell’inventare, rendendo plausibile ciò che rasenta l’assurdo, l’impossibile.
Cosa dire? Proverei a suggerire ai lettori a lasciarsi andare, se possibile leggere il libro tutto d’un fiato, perché forse in questo modo meglio può riuscire ad entrare nella dimensione spazio-temporale talmente “al limite”, da togliere il respiro. Ed a chi invece si sentisse talmente spaesato da desiderare un più rassicurante ritorno a se stesso, consiglierò di leggere con attenzione le pagine in appendice, nelle quali lodevolmente lo scrittore spiega molte cose, indica dove ha lavorato di fantasia e dove invece ha attinto alla Storia, ai documenti, all’inoppugnabile esistenza di un mistero, contenuto in un manoscritto reale, su cui peraltro si sono rotte la testa generazioni di studiosi, intellettuali, storici, archeologi, curiosi ed appassionati.
In verità avrei dovuto dirlo sin dal principio: mi occupo di Storia e sono certamente un lettore 'forte', ma non posso definirmi certo un critico o comunque esperto di narrativa. Tuttavia, non credo di essere fuori strada o particolarmente lontano dal vero, se giudico questa opera straordinariamente avvincente ed originale. Oltretutto, per molti versi ha a che fare con la memoria e con la Storia, assai presenti nel romanzo, come del resto dimostrano lo stesso personaggio centrale, De Fugger - manco a dirlo antenato dei celebri banchieri tedeschi finanziatori non disinteressati dell’imperatore Carlo V -, o anche i tanti riferimenti a Federico II di Svevia, anch’egli imperatore, ma nel Duecento e, da tedesco, innamoratissimo dell’Italia.
Ce n’è in definitiva per tutti e per ogni gusto, a condizione che ci si lasci prendere e si provi il gusto di seguire fino in fondo, e nei particolari, la mirabolante avventura. Di un buon libro si dice che vale per l’ingegnosità, o attrattività della trama, per l’ambientazione e il disegno dei personaggi, per la qualità della scrittura e la sua capacità evocativa e di creare risonanza o consonanze in chi legge. Le pagine perdute sono una sfida ben architettata e una scommessa, tutto sommato, certamente vinta; ma anche per questo mi astengo dal raccontare in maniera minuta la trama, e meno ancora mi lascio tentare dall’anticipare “come va a finire” la storia. Tocca a chi legge compiere il percorso di avvicinamento e di immedesimazione, se è vero, come ritengo che sia, che l’opera, una volta scritta, o fatta, non appartiene più al suo autore, ma a chi leggendo, o ammirando, la fa propria, dislocandola dentro di sé, nel cuore e nella mente.